Sono sordo dalla nascita. Un bell’uomo, parrebbe da come mi guardano, ma sordo. La mia voce, mai levigata nè misurata , fuoriesce senza risonanze, senza registro, un uccello ferito,dal volo breve, rovinoso. I miei passi, lungo le gallerie del Louvre, sono l’esercizio di estimo di un antico sacerdote, lo spostarsi nella notte di un predatore, ed hanno le vibrazioni di un fiume sotterraneo. Sono il Sovrintendente del comparto più prezioso del Museo; ho sorriso a più di un primo cittadino della nostra Ville Lumiere, in oltre trent’anni di servizio, e, a dire il vero, non ho mai smesso di sorridere.
Stamane, quando ti ho rivista, dopo così tanti anni, ho sussultato, come quando ti incontrai, la prima volta, in Italia; come quando, l’ultima, senza espressione, mi scrivesti, appoggiata sulla mia scrivania, quelle poche chiare parole, forse preoccupata che non potessi leggere abbastanza chiaramente dalle tue labbra quanto già avevo letto nel tuo cuore. Pensai, amaramente, che in quel momento non ero più muto di un qualsiasi altro innamorato. Oggi, non mi hai visto, ed io non ti ho fermata, nemmeno questa volta. Dalle grandi finestre del museo, ho visto passare come per la prima volta il grande e dimesso battello, e ho creduto di udire il commento sommesso ed incessante del fiume.