Sordo, un rombo di eguale livello,continuo, che durò forse due,tre minuti, pervadendo in un irreale stato di immobile attesa quella parte di città che, come fulminata dalla luce intensa e sfocata del tramonto, corsi d’istinto a scrutare dal terrazzo di casa; rimasi atterrito nel vedere avanzare, senza esitazioni, compatta come una falange, invadendo i caseggiati, i grandi corsi, le vie, i viali alberati di Aprile, quell’onda alta di schiuma chiara,appena rosata dal crepuscolo, portando via con sè vetture,oggetti,stracci colorati, come quella risacca che vediamo con compiaciuto disfattismo distruggere il nostro più riuscito castello di sabbia, lasciando al suo posto poveri arabeschi di fango sullo specchio del bagnasciuga;poi, il rombo sordo, risonante, si fece liquido, frizzante sciabordio, e nella misura del suo avanzare rapido, la superficie grigia e turbinosa della massa d’acqua, appena coperta da un sottile vapore verdastro, rivelava sempre più chiaramente il suo carattere marino, ed abissale. Il Mare era giunto, infine, ad invadere la città in cui vivevo, e per farlo aveva viaggiato ostinatatamente per centinaia di chilometri, tutto distruggendo lungo il suo cammino.
“Liber scriptus proferetus/In quo totum continetur/Unde mundus judicetur” .
Il cielo della sera, ormai notturno, parve teso come un’enorme bolla sul silenzio delimitato solo dagli echi di onde sorde contro gli scogli innaturali dei palazzi. Sul piatto girava ormai insensato come un’oggetto dimenticato da un mediocre prestigiatore il disco che, ultimo espediente amoroso, avevo messo con indifferenza apparente mentre mi parlavi, come se fosse mai possibile che quelle tue frasi facessero meno male se mischiate all’ordito perfetto ed infantile dei Quaderni di Anna Magdalena.
Mi inchinai alla tua natura ferrigna,di Angelo deluso, guardandoti uscire prima dalla porta, ed infine dal sogno del nostro Apocalisse.